
In pratica, secondo i due consumatori, i dispositivi Android avrebbero un costo maggiore solo a causa del Mobile Application Distribution Agreement (MADA), il contratto che lega le aziende produttrici di dispositivi Android alla Google. Siglandolo, i produttori accettano di installare di pre-installare sui terminali il pacchetto di applicazioni Google (per esempio, Google Maps, Gmail e YouTube), impedendo agli altri sistemi operativi concorrenti di competere su questi terminali, pagando per ottenervi maggior visibilità.
Tutto ciò in violazione delle normative antitrust ed a danno degli utenti, soprattutto per quanto riguarda il costo finale del dispositivo Android sul mercato: se le azioni produttrici non possono scaricare parte dei costi sulla lotta per la visibilità dei sistemi operativi, dovranno per forza farlo a spese dei consumatori.
Questa la prima campana. Secondo Google, invece, il particolare tipo di contratto con i produttori non ledono il consumatore né nel portafoglio né nella libertà di scelta: l’utente, infatti, può decidere di tenere le applicazioni che trova pre-installate oppure rimuoverle e sostituirle con altre di sua scelta. Inoltre, i prezzi dei dispositivi Android sul mercato non dipendono affatto dalla politica seguita da Google, ma dalle strategie di marketing delle aziende produttrici.
Le udienze si erano svolte a dicembre ed adesso il giudice ha deciso l’archiviazione del caso, accettando la versione sostenuta da Google: non si può parlare di un rapporto di causa ed effetto tra i MADA ed i prezzi dei dispositivi Android, e la politica di Google non limita la libertà degli utenti.